giovedì 30 giugno 2016

Leggere i segni dei tempi per non “sciupare la crisi”

di Arturo Donati



Con la sintetica e intensa ricognizione problematica sul senso del viatico terrestre e degli atteggiamenti conseguenti al continuo depauperamento della visione del mondo, Tommaso Romano ci offre una matura riflessione ricca di spunti che contribuiscono ad aprire feritoie sul velo dei luoghi comuni del giudizio.
Infatti il giudizio corrente sulla crisi è sovente ammantato di catastrofismo e di superficiale accondiscendenza sia alle insorgenze reazionarie che al grave progressismo antropologico, sovente dimentico della inviolabilità unitaria della cifra umana.
Gli orientamenti prevalenti dell’immaginario sociale a noi più vicino, in ultima analisi confermano e rimarcano ulteriormente la deprivazione spirituale del nostro tempo che meriterebbe una complessa ed ampia indagine. Infatti In premessa l’autore presenta la sua raccolta di saggi brevi come un semplice contributo per la valutazione critica dei fenomeni antropologici oggi evidenti. Ne “L’Apocalisse e la gloria” Tommaso Romano sviluppa così una disamina argomentativa scevra di qualsiasi perentorietà fuori misura e senza tentare scorciatoie rimarca e perimetra tratti essenziali della dimensione della crisi alla cui consapevolezza nessuno dovrebbe sottrarsi.
Nonostante la brevità dei testi, realizza egregiamente il suo proposito con la chiarezza dell’onestà intellettuale che contraddistingue l’utopista che ha seguito davvero un percorso di conversione personale che lo ha condotto dalle iniziali sfere dell’idealità mai tradita a quelle del sacro custodito dalla Parola.
In primo luogo il tempo presente è caratterizzato dalla frequente elusione intenzionale della responsabilità individuale che viene facilmente derubricata dagli assiomi del giusto vivere. Tale deriva, gravida di deleteri effetti, sempre più evidenti, andrebbe ricondotta alla diretta conseguenza del rifiuto ideologico di qualsiasi teleologia. Rifiuto che mira a escludere ogni fede in un ordine superiore che possa inficiare l’ideologia dominante della socialità astratta che trova facile rispondenza nella vulgata dei luoghi comuni.
Invece secondo ogni spiritualista la socialità astratta essendo priva di qualsiasi cultura dell’essenza, è destinata ad essere prima o poi confusa se non barattata con l’aspirazione al dominio degli eventi quotidiani, quindi con il potere. Tommaso Romano riesce anche a far notare quanto sia negata dal laicismo autoreferenziale la necessità di un’analisi ponderata della tipologia della crisi attuale che è riconducibile principalmente alla visione antispecista dell’uomo.
Allora oggi più che in alti tempi urge e necessita pacatezza e coraggioso equilibrio nel giudizio. Tale preoccupazione è dettata dal discernimento cristiano. Infatti anche se il senso della decadenza degli autentici contenuti di relazione, senza i quali l’uomo non può definirsi tale, è certamente palese di contro la semplicistica valutazione etica su basi relativistiche dell’agire è perdente. La critica, quando avulsa da qualsiasi fondamento dottrinario e ancor più gravemente se insidiata dal comparativo etologico, non genera giudizi piuttosto generalizzazioni anche gravi.
Giudizi acritici che paradossalmente ledono la dimensione spirituale dell’uomo che proprio l’indignazione per il suo offuscamento intenderebbe al contrario proteggere. Secondo Tommaso Romano la saggezza, anche se esercitabili
e in forme limitate o in oasirelazionaali ristrette, può e deve ritornare ad essere un traguardo possibile Ogni tempo infatti offre allo spiritualista la possibilità di accedere ai linguaggi del profondo e di riedificare un senso dell’uomo. Senso da recuperare nella prassi storica, nella vita concreta e contraddittoria per quanto e nonostante il quotidiano induca i più alla rassegnata “lettura orizzontale” del valore simbolico degli eventi. Tommaso Romano si fa forte della lezione fondamentale di Romano Guardini che ha presentito la necessità antropologica di nutrirsi dei segni del divino che donano la possibilità di scoprire come ogni età della vita, che al contempo è sensibilità, utopia, potenza e caduta, di fatto sia teatro dell’incarnazione della spiritualità che sopravvive ai declini e ai ritorni. Una ciclicità che è storica in quanto spirituale così come per Vico, appropriatamente più volte richiamato nello scritto, è spirituale perché storica. Una storicità che non dissipa totalmente i doni dello spirito perchè mai lo potrebbe. Per il Nostro la lezione vichiana rassicura sulla riproposizione della possibilità di ricondurre al singolo la prodigiosa riscoperta del sacro dono della vita. L’uomo nuovo di Tommaso Romano, adombrato nelle brevi pagine che lasciano il segno, si configura come un fiero frammento dell’infinità cosmica.
Per quanto disorientato, l’individuo può maggiormente resistere se la sua forza nasce dalla critica del formalismo dell’agire quando avulso dalla fiducia nella presenza dello spirito. Il divino ci guida comunque e nonostante tutto in ogni istante dello scenario terrestre anche quando appare il tempo in cui “tutto finisce”. Leggere nei segni della fine non il fallimento delle illusioni quanto la prossimità della Parusia che riconcilia l’essere e la vita, la giustizia e l’amore. E’in questa prospettiva che va operata una rivendicazione dei valori non ideologica nè tantomeno nostalgica, in forza della saggezza e dei sodalizi ancora possibili. La critica di Tommaso Romano è e resta costruttiva poiché consente il recupero della preoccupazione per l’uomo pur nella lapidaria invariabilità del giudizio morale di fondo che ove necessario va espresso senza sè e senza ma e ricondotto alla finalità dell’esistenza.
Essa non è completamente tutelata né dalla legge convenzionale né da quella naturale piuttosto dal valore cosmico della presenza umana all’interno delle teofanie dell’essere. Per il cristiano problematico ma non problematicista, l’uomo è, e deve sforzarsi di restare, in prima istanza il custode individuale della legge dell’amore. Certamente non del processo amorevole del fondamento delle intenzioni che possono essere per ingenuità o malafede tradite e subordinate a esigenze materiali ammantate di falsa etica relativistica. Non a caso con chiarezza il Nostro precisa che: “L’unicità dell’uomo nel cosmo è frutto di uno statuto tutto proprio dato da Dio … L’anima individuale fa parte dello spirito cosmico…”
Romano riesce in forza di tale assioma a distinguere la rassegnazione ad accettare i limiti oggettivi del nostro operare, dal grave declino della visione del mondo verso l’accomodamento minimalista spacciato ideologicamente per principio di realtà. Per altro verso l’ipocrisia contemporanea si manifesta con le gravi alterazioni dei linguaggi.
In primis quello liturgico e quello della sfera del diritto, debolezze che assimilano gli accomodamenti imposti da un’etica di basso profilo all’ideologia maggioritaria spacciata per solidarietà sociale. Il nostro tempo registra infatti l’insorgenza di una nuova figura cara all’immaginario sociale, quella dei buoni e dei moralizzatori di professione. Per Romano le distorsioni vanno denunciate con chiarezza senza indire crociate riequilibratici di una impossibile verità assoluta la cui difesa ad oltranza e ad ogni costo, in ultima analisi risulterebbe gravemente lesiva della stessa sfera valoriale che si intenderebbe salvaguardare.
Tommaso Romano ricorre ancora una volta, al suo cristocentrismo spirituale in chiave cosmico-teleologica per proporre una semplice ma non semplicistica metodologia di analisi della pochezza umana al fine di rivendicare l’eterna possibilità concessaci dal Santo spirito di ritrovare comunque vie d’uscita significative alle condizioni che ci affliggono. Un ristoro della libertà, una luce per orientarci negli spazi ristretti dell’agire asfittico delle coscienze anestetizzate dal quotidiano amorfo (perché modale quindi senza stile) e sempre più de spiritualizzato.
Fondamentale a questo punto la rivendicazione delle possibilità reattive ed esemplari insite nella risorsa individuale e nel sodalizio delle coniugazioni umane vincolate dall’invisibile trama che si tesse con l’ascolto della Parola. Con l’ausilio della riflessione senza censura che aspira non al giudizio ma alla saggezza che è sostanzialmente giustizia nel rispetto primario della vita. Non a caso alcune afferenze alla lezione profonda e problematica del miglior Evola echeggiano in alcuni tratti dell’analisi di Romano che rifiuta il “vago sentimentalismo consolatorio”.
Altrettanto condivisibile, a parere dello scrivente, il ridimensionamento delle aspettative ingenerate dal Concilio Ecumenico Vaticano II e delle estemporanee critiche reattive allo stesso, fermo restando il bisogno del Nostro di criticare i processi di secolarizzazione eccessivi senza sminuire del tutto la stessa funzione della Chiesa Cattolica. Essa resta comunque responsabile di mancanza di chiarezza e di non dipanare le compiacenze verso un “cristismo” opinato a misura delle esigenze dell’immaginario contemporaneo che divinizza le virtù non subordinandole alla Verità Assoluta. Verità che se posta al centro dell’anelito umano restituisce ascendenza divina a tutte le qualità vertiginose che sono e restano segno della possibilità di tensione verso le altezze anche al tempo della fine.
Una fine della condizione terrestre e di tutti i criteri di relazione umana tentati o codificati, che non siano da leggere come il definitivo declino della coniugazione antropologica di natura e spirito, piuttosto in chiave di primi albori della Parusia, di propedeutica all’Apocalisse che è rivelazione della piena volontà divina. La stessa che ci ha imposto di esistere per scoprire nel nostro piccolo, a prescindere da qualsiasi livello di secolarizzazione, l’amorevole e misterica cifra di appartenenza all’entropia spirituale dell’Eterno.
Soltanto l’Eterno ci impone il coraggio di rifiutare “l’umanizzazione presunta”, massificata e massificante al sevizio dei poteri e delle tentazioni terrestri che esaltano una vaga libertà senza spirito, quindi il nulla, per negare la trascendenza.

Pur se fortemente distratti dalla visione cui siamo stati destinati è possibile a tutti uno scatto di coscienza quale ultima salvaguardia, alla fine dei tempi, prima che il vincolo tra l’umano e il divino che siamo chiamati a scoprire possa essere sciupato: “Badate a voi stessi perché….quel giorno non vi venga addosso all’improvviso come un laccio”. (Luca 21. 31,34)

da: "Rassegna Siciliana di Storia e Cultura", n. 41 - 42, 2017

lunedì 20 giugno 2016

Franco Trifuoggi, "La poesia di Tommaso Romano" (Ed. I quaderni di Arenaria)

di Giovanni Taibi

Un interessante viaggio intorno e dentro la poetica di Tommaso Romano è quello che compie il prolifico scrittore e critico letterario Franco Trifuoggi nel suo approfondito e puntuale saggio “La Poesia di Tommaso Romano” edito da Ila Palma ( 2013).
Da una analisi filologicamente attenta dei testi dell’autore palermitano, Trifuoggi traccia una linea ideale lungo cui scorre la poesia di Romano che, seguendo una direzione metafisica, manifesta tutto il suo desiderio di eterno e diventa viatico alla scoperta dell’assoluto.
L’indagine critica di Trifuoggi inizia sin dagli albori della poesia di Romano, da quelle prime Rime Sparse del 1969, in cui in nuce già si intravvedevano i primo germogli di una poesia che, seppur non distaccata dalle suggestioni futuriste marinettiane, manteneva saldo il rigore formale e la chiarezza del dettato poetico della grande tradizione letteraria italiana.
D’altronde per il nostro futurismo e tradizione non sono mai state in antitesi, anzi come spesso afferma: “più profonde sono le radici più l’albero potrà svilupparsi in altezza.”
Trifuoggi scava a fondo nella poesia di Romano e ne evidenzia gli influssi filosofici e letterari in essa presenti: da Aristotele agli esistenzialisti senza dimenticare la lezione storicistica di Vico e dei grandi autori spiritualisti e di quelli più intimisti da Petrarca a sant’Agostino.
 La sua è certamente una poesia impegnata mai semplice momento di disincanto. Il suo poeta è un anacoreta che però non fugge la realtà ma la richiama in ogni sfumatura per esaltarla a momento poetico da ricordare e condividere.
Una realtà spesso grigia da cui il nostro riesce a sottrarsi grazie a visioni di montaliana memoria che “donano al poeta pause liberatorie e suscitano immagini di vita affrancate da cure tormentose” ( Cfr pag. 35 )
Quello di Trifuoggi è un libro la cui trama è intessuta, o meglio integrata,  da citazione attinte a piena mani dalle liriche di Tommaso Romano che vengono inserite come un tutt’uno del discorso filologico che sviluppato con non comune perizia esegetica. È una perfetta simbiosi quindi quella che viene fuori dalle note critiche del Trifuoggi e dai frequenti richiami alla “Parola” di Tommaso Romano.
Il Romano intimo è quello che scalda più il cuore di Trifuoggi, in cui prendono corpo e dimensione luoghi e figure care al poeta del presente ma soprattutto del passato come nella delicata lirica dedicata ala padre: “In attesa del bel rivederti”.
 Sono queste le liriche ritenute più ispirate nelle quali prevale la “luce della religiosità” ammirata anche  dal celebre critico Mario Sansone.     
Quella di Romano è una poesia che si rinnova in itinere nel confronto col passato e con la quotidianità a volte routinaria e prosaica, che comunque Romano sa giudicare con il distacco di chi conosce il senso dell’inarrestabile flusso dell’esistenza. Una vita contempl-attiva in cui la ricerca di un senso travalica lo stesso reale che diventa segno o cosa di platoniana memoria.  

sabato 11 giugno 2016

Tommaso Romano, "Café de Maistre" (Ed. ISSPE)

di Guglielmo Peralta

      L'introduzione di Tommaso Romano al suo "Café De Maistre" si apre con la descrizione del locale panormita, degli "arredi originali e tirati a lucido" ispirati all'Art Nouveau e si chiude con la velata esortazione a lottare contro la decadenza culturale e morale della società contemporanea per "dare un senso autentico" al nostro essere nel mondo. L'eleganza del Liberty o dello stile floreale contrasta con tale decadenza, che non è più soltanto "Il tramonto dell'occidente", annunciato da Oswald Spengler nella sua opera (1918-1922), ma il declino della civiltà a livello mondiale, che sembra preludere al "suicidio dell'uomo" dopo la morte di Dio. Il contrasto si risolve nel bisogno di Romano di trovare "un rifugio elegante all'inclemenza del tempo", sicché il Café De Maistre, la sua eleganza, è metafora della bellezza e, perciò, esso è un "luogo elitario", ideale per la contemplazione e per ritrovare la pace interiore; è un "chiostro" dove meditare e ricercare la Verità "in laboriosa solitudine", lontano dai "volgari" e dalla mondanità. Il crollo dei valori morali, la desacralizzazione della Tradizione, l'indebolimento della Fede e del pensiero libero, sostituito sempre di più dal "libero pensiero" e dalla "dittatura del pensiero unico", devono sollecitare alla lotta contro il male, a "resistere" categoricamente, "individualmente, lucidamente" contro l'annichilimento e l'Apocalisse già in atto. È questo il magistero di Romano, il quale, animato dalla cultura dello spirito, leva alta la sua voce confortato da mentori quali Platone, Tommaso d'Aquino, Vico. Altri Personaggi-guida, incontrati in carne ed ossa o frequentati soltanto attraverso le opere negli anni di studio, nel suo cammino di formazione intellettuale e culturale, sono presenti in questa raccolta di perle di saggezza, dove non mancano, accanto ai quadri di pensiero, alla riflessione profonda su temi di teologia, filosofia, pedagogia, storia, letteratura, arte, le numerose invettive, tra cui quella contro il cieco conformismo di chi approva "tutto ciò che è progressivo, funzionalista e, quindi, moderno", quella contro i "poteri ideologici degli orientatori dei comportamenti della comunicazione e della pubblicità", quella contro il centralismo e il totalitarismo riformistico della scuola.
      Mi sembra che il cuore di questo Café De Maistre sia da ricercare in quella dimensione del "mosaicosmo" in cui è venuto a strutturarsi il pensiero di Romano, da quando egli è rimasto folgorato dalla felice intuizione dalla quale è nato il neologismo e che si è nel tempo evoluta fino alla contemplazione di quella visione cosmica, di quel mosaico, appunto, che ogni umano individuo contribuisce a comporre con la propria attività creatrice, o anche solo con il proprio esserci, e del quale è parte integrante e necessaria. In questa unione ideale di tutti gli uomini sembra realizzarsi quel principio della fratellanza universale che è disegno divino e motivo di salvezza. È questo un pensiero che ha nell'arte la sua culla e la sua ascesa e che si oppone allo svuotamento spirituale e al vuoto religioso segnato dall'assenza, o meglio, dalla non-presenza di Dio, al quale tuttavia - sottolinea Romano - bisogna restare fedeli, e il quale è da cercare proprio nel tempo della sua lontananza e della più grande povertà dell'uomo. Rafforzare la fede ancorandola in Cristo "è e sarebbe la via maestra" contro l'Apocalisse, per porre fine a questi tempi oscuri e "prepararci all'Evento soprannaturale della Parusia, al ritorno di Cristo in terra". Tessere preziose di quel "mosaico" sono, qui, Personaggi quali - ne cito solo alcuni - Divo Barsotti, Padre Giuseppe Rizzo, Lucio Zinna, Giovanni Volpe, Giovanni Gentile, Alessio Di Giovanni, Lucio Piccolo, Mario Luzi...che Romano ritrae negli aspetti che più li caratterizzano e dei quali lascia emanare la "Luce del pensiero" (già titolo, questo, di grande fascino, di un progetto culturale da lui ideato e concretizzatosi con la pubblicazione di sei volumi contenenti schede biografiche di autori tutti rigorosamente siciliani). Insieme, questi Personaggi, costituiscono una grande biografia dell'anima nella quale emerge, in trasparenza, lo stesso profilo di Romano avendo egli in comune con loro il medesimo cammino spirituale in direzione della ricerca di verità e di senso. Ed è forte, nel Nostro, l'esigenza di ristabilire e fare conoscere la verità là dove essa è manipolata, "truccata", distorta per risentimento o per motivi, spesso, ideologico-religiosi. Così, ad esempio, egli rende nota la rivisitazione della "Storia dei musulmani di Sicilia" di Michele Amari, da parte dello storico francese Henri Bresc, secondo il quale "il più che positivo giudizio" espresso dall'autore siciliano sui dominatori arabi e la "mitizzazione dell'Islam, visto come regno della perfezione" non sarebbero corretti perché frutto, probabilmente, della "passionalità" e delle "visioni romantiche" dell'Amari. Altro esempio di verità ristabilita riguarda una celebrata ottava di un canto popolare grandemente offensiva e infamante nei confronti dei Savoia e che Alessio Di Giovanni, nel suo articolo: Un'allusione alla Casa Savoia in un pseudo canto popolare siciliano, dimostra trattarsi di un falso storico. Se la pura e semplice verità è tradita e falsificata per futili motivi, per risentimenti, per meschine vendette, la Verità, quella che nel nome del Cristo ci è stata rivelata, è sempre più obliata e rinnegata, con la grave conseguenza della perdita della coscienza morale e del limite della libertà. "Tutto allora sarà, come in effetti è, permesso. Anche di ammazzare in nome di un dio, dell'onnipotenza umana o della dea ragione". E qui non possiamo non ricordare Ivan Karamazov, il quale afferma che "se Dio non esiste, tutto è permesso" e sottolinea lo stretto legame fra la negazione di Dio e la divinizzazione dell'uomo. Senza l'amore della verità l'eclissi dei valori, già in atto, sarà totale e inevitabile e la salvezza impossibile, perché con la perdita del sacro e del senso di Dio si perderà anche il senso dell'uomo. Nella prima domanda, posta da Romano a Mario Luzi nell'intervista inedita del 1989, è indicata, sia pure in modo sotteso, l'unica via da seguire per risollevarsi da tanta decadenza, per uscire dal tunnel infernale e tornare "a riveder le stelle". E la guida non può che essere la poesia, come essa lo fu di Dante nella figura di Virgilio, simbolo della saggezza poetica. La domanda è la seguente: "C'è la possibilità di una rinascita di una poesia ancorata ai valori, per così dire, forti?" È innegabile che la poesia sia il valore assoluto da riscoprire e praticare per conquistare l'amore della verità che, a detta di Sant'Agostino, è "il primo dei precetti, il sommo genere, il fonte di tutti". E dunque, amare la verità "è amare e desiderare il bene morale". Ristabilire il legame tra poesia e verità è quanto suggerisce Luzi nel preannunziare una "motivazione etica e religiosa (...) una richiesta di una poesia religiosa di "annuncio", oltre che di denuncia", nella convinzione che "la poesia ha la forza di progettare l'uomo futuro e di indicarlo anche alla scienza, che ha il compito di restituirlo a se stesso".
      La poesia è la risposta alla civiltà tecnologica, che ha fagocitato ragione e sentimento estromettendo l'uomo dalla sfera del sacro e della spiritualità generando l'individualismo che,  secondo Charles Taylor, è il maggiore dei mali della nostra società, la causa di quello che egli chiama “Il disagio della modernità”, ossia, la perdita dell'essenza umana, la chiusura verso l'altro,    l'oblio della socialità, che hanno il loro contrassegno nella ricerca del successo, dell'approvazione, nel distinguersi ad ogni costo dagli altri, nel narcisismo egoistico. Contro questa tendenza suicida, contro questo vivere inessenziale, Romano ci ricorda, citando Heidegger, che "la poesia è un modo di vivere" più autentico nel "tempo della povertà". Ed è nella presa di coscienza di questo "disagio", sempre più esteso all'intero consesso umano, che cresce il bisogno di senso e acquista valore veritativo l'ideale del "mosaicosmo", di cui Café De Maistre è un riverbero e una tessera ed è un micromosaico dell'immensa biblioteca spirituale in cui si inseriscono, si corrispondono, si riflettono infinite visioni: mondi e modi diversi di un pensiero unico e universale.