martedì 14 luglio 2015

Il suicidio dell'umano

di Tommaso Romano

Le maschere pirandelliane ci appaiono sempre più come rappresentazioni simboliche di tragedie verosimili.

La realtà ha superato ogni fantasia, ogni dissonanza eccentrica e marginale, per diventare preda del volgo, i cui fili invisibili muovono i burattinai della globalizzazione dei cervelli e delle anime.
Le maschere delle disumanizzanti e sfigurate metropoli, che girano intorno a noi fra la messa in scena e il macabro, sono l’annuncio grottesco e ultimo della disperazione per sazietà, del continuo e sciatto autorinnegarsi nella intima essenza stessa della propria natura, nei gesti, nei costumi, nel linguaggio. Con l’aggravante che la scienza divenuta sincretismo e la tecnica pervenuta a tecnocrazia, hanno aumentato l’astrazione fino al parossismo dell’illimite, al virtuale nulla percepito e sostenuto come reale. 
Non scomoderemo l’immenso Vico quando ci ammonisce sul pudore – termine e concetto che i più ormai ignorano o deridono, e non scomodiamo i “perduti valori” – ma queste caricature di maschi, femmine e prodotti assortiti, di pseudo-umanità, tanto somigliano alla falsa allegria dei demoni del “bene”, che si sono moltiplicati e si moltiplicano per voluto sadismo e rivendicano il “diritto” alla mutazione totale, approdo alla vittoria finale del c.d. amore. 
Eccolo l’esito del fondamento moderno, l’occultamento furibondo del Mistero, del Metafisico, dell’Infinito, che ripudiando Dio e la Sua legge, aveva promesso un messianismo felice in versione marxista o turbocapitalista, fino alla nuova positiva religione di Comte, al nichilismo, alla caduta nel vuoto della noia. 
Anche nel comune sentire, in nome di una frase che è più di una rivoluzione – Chi sono io per giudicare ? - si fa strada la beota acquiescenza a non avere e proporre fondamenti, domande, dissensi. Non dico di votarsi al martirio, certo, al rischio e al pericolo che è il mestiere degli eroi e dei santi, alla rivolta manifesta – un aiuto in sostanza ai sovvertitori – quanto al destare in sé un radicale disgusto interiore, vocandosi al senso e alla pratica della distanza e del necessario ignorare. 
Alla morte di Dio ucciso dall’uomo segue, come lo stesso grande e disperato Nietzsche capì, lo svuotamento verso il suicidio dell’uomo che si manifesta appunto in molteplici modalità: la transitorietà di ogni cosa, il perseguire il corpo anche con segni e incisioni che lo carnevalizzano a vita, il tentare la mutazione antropologica rispetto alla natura, al rifiuto dell’idea stessa della vita e del futuro, nell’ordine creaturale e cosmico. 
La farsa che si consuma nelle nostre strade e negli antri, è un annuncio del vero tragico epilogo mortifero in atto.

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